Ieri sul sito del Telegraph è uscito un articolo intitolato “I’m starting to think that the Left might actually be right traducibile più o meno come “sto cominciando a pensare che la sinistra potrebbe avere ragione”. Mi ha colpito questo passaggio dell’articolo:
In the 1970s and 1980s, it was easy to refute this line of reasoning because it was obvious, particularly in Britain, that it was the trade unions that were holding people back. Bad jobs were protected and good ones could not be created
Traduco a braccio: “Negli anni ‘70 e ‘80, era facile respingere [le critiche a capitalisti e liberisti] perché era ovvio, particolarmente in Gran Bretagna, che chi impediva alla gente di migliorare le proprie condizioni erano invece i sindacati. I lavori cattivi venivano protetti e non se ne potevano creare di buoni”. La frase mi ha colpito perché mi ha ricordato qualcosa che ho sentito nel 2006.
Quell’anno, 2 o 3 settimane prima delle elezioni politiche, mi sono ritrovato a prendere il caffè in un bar di San Lorenzo, un quartiere popolare di Roma storicamente noto per non essere “di destra”. A un certo punto il barista, un ragazzino credo appena maggiorenne, chiese a un suo coetaneo in tuta da meccanico, che lavorava presumibilmente in nero in un’officina della stessa strada: “Tu hai deciso per chi voti?”
La risposta mi è rimasta impressa perché faceva a cazzotti, almeno secondo gli schemi di una volta, sia con età e lavoro dell’interpellato che con il quartiere. Traduco testualmente dal romanesco: “Non ho ancora deciso se ci vado, a votare. Però, se ci vado, voto Berlusconi. Perché Prodi difende solo quelli che il lavoro fisso già ce l’hanno”
Non so con certezza se e con chi in questa storia sono d’accordo. Però, come dicevo, la vicinanza fra il punto di vista di oggi di un garzone d’officina romano e quello di 30 anni fa di un giornalista e professore educato a Eton e Cambridge mi ha colpito.