Ho appena letto di un giovane condannato a 160 ore di servizi sociali per pirateria cinematografica. Gli sta bene, sono proprio contento che lo abbiano condannato. Dico sul serio. Mi dispiace solo che gli abbiano dato 160 ore anzichè, almeno, 500. Christopher Clarke è stato condannato per camcording, cioè per avere, al fine di caricare poi i film su un sito a pagamento, filmato la pellicola con uno smartphone “sapientemente nascosto nei vestiti” durante la proiezione in sala della medesima”.
Del copyright e dell’abuso ridicolo che oggi ne fa l’industria possiamo (dobbiamo) sempre parlare un’altra volta. Ma se dopo essere andato fino al cinema e aver pagato profumatamente (anche per pagare le tecnologie che hanno usato per beccare Clarke) non posso godermi il film perché qualche imbecille si agita e mi copre la visuale (o me la rovina con la luce del suo display) solo per farsi una copia pessima di qualcosa che magari sarà in HD su Internet la settimana dopo… 160 ore forse non bastano.