Qualche giorno fa ho visto passare su Twitter ricordi di una storia degli anni di piombo che non conoscevo, o avevo dimenticato.
La storia è quella di Luigi Marangoni, Direttore sanitario del policlinico di Milano, ucciso dalle brigate rosse il 17 febbraio 1981.
Il resto di questo post è la trascrizione integrale, a parte qualche minima correzione di punteggiatura e con la sua approvazione, di come l’ha raccontata su Twitter Johannes Buckler in questo thread. Anche le immagini vengono da quel thread.
15 febbraio 1981, Milano. Via Don Gnocchi…
#MdT 15/02/1981 - Milano. Via Don Gnocchi a pochi passi da San Siro. Una famiglia è a tavola. Luigi, la moglie Vanna, la figlia Francesca di 17 anni e il figlio Matteo di 15 anni. L’atmosfera è tesa. La vita di Luigi è in pericolo. Luigi è solo un medico, perché è in pericolo?
#MdT 15/02/1981 -Luigi è il più giovane direttore sanitario d’Italia e lavora al Policlinico di Milano.Da quando è arrivato si è proposto di far funzionare al meglio il Policlinico. Momenti difficili. Un centro non ancora spento dell’eversione di uno pseudo sindacalismo selvaggio.
Non sono anni tranquilli al Policlinico di Milano. A una maggioranza di infermieri preparati e lavoratori si contrappone una minoranza che soffia sul fuoco della protesta e favorisce azioni di sabotaggio.
L’assenteismo e il menefreghismo, dice Luigi, non possono stare in luoghi dedicati all’accoglienza e all’altruismo. Quando all’interno dell’ospedale si erano verificati danneggiamenti (avevano manomesso la Banca del sangue). Luigi aveva denunciato i fatti alla magistratura.
Dopo le denunce aveva ricevuto minacce
Dopo le denunce aveva ricevuto minacce. Luigi sapeva di essere a rischio, ma tranquillizzava moglie e figli “I miei pazienti sono a rischio se fumano, se hanno la pressione alta, se sono obesi. Diciamo che ora anche il loro medico è a rischio gambizzazione”. E sorrideva.
Luigi non ha voluto la scorta. Come molti ha rinunciato per non mettere in pericolo gli agenti. A volte dormiva in ospedale stanco di essere offeso e spintonato quando arrivava al lavoro. Sui muri dell’ospedale erano apparse scritte “BOIA” riferite a lui.
Vuole bene i suoi collaboratori, a Ettorina, la capo sala che ha assunto personalmente dopo che era stata sua allieva al corso infermieri. “Gli infermieri dobbiamo pagarli di più, ripeteva. Abbiamo bisogno di loro, della loro professionalità”.
Luigi è in casa con la moglie. Sta compilando un assegno per le spese condominiali. La moglie sempre più preoccupata. Una notte il marito si era svegliato di soprassalto dicendole che forse le avrebbe lasciate sole. Di perdonarlo. Che non era colpa sua.
Ore 8.20. Luigi esce di casa
Ore 8.20. Luigi esce di casa. Vanna guarda come sempre dalla finestra. Vede solo un giovane con un cappellino. Non comprende il perchè dei petardi (quattro) esplosi così di buon mattino. Guardando verso Luigi capisce però che non sono petardi.
Vicino alla sua macchina, sulla salita dei garage, ci sono due persone con una coppola in testa, un giubbotto antiproiettile, una mitraglietta e un fucile a canne mozze in mano. Corre giù urlando. I brigatisti però sono già scappati.
Si avvicina all’auto. Non vede il marito. Pensa ad un sequestro. Ma quando apre la portiera Luigi le cade tra le braccia. E’ ancora vivo e ha gli occhi aperti. Vanna comprende che è l’ultimo istante in cui possono restare soli, che la loro vita insieme finisce in quel momento.
(I terroristi non sapevano che di fronte a Luigi abitava il commissario Portaccio. Che in quel momento era in macchina con un collega armato. Sentiti gli spari i due avevano ingaggiato un conflitto a fuoco in strada. I terroristi erano però riusciti a fuggire).
L’assassinio viene rivendicato con una telefonata a nome delle Brigate Rosse, colonna Walter Alasia. Se volete rivivere il clima di quegli anni chiudete gli occhi. Mensa del Policlinico. Saputo del decesso di Luigi c’è gente che brinda e festeggia la sua morte. Ecco il clima.
Un anno dopo l’omicidio…
Un anno dopo l’omicidio il capitano Morini si presentò a casa di Vanna per comunicarle che avevano arrestato il ragazzo che faceva da palo. Il ragazzo fece i nomi di tutti i colpevoli. Nell’estate successiva vennero arrestati i due esecutori materiali, da lì a poco l’autista.
Il capo delle BR milanesi, Vittorio Alfieri, uno degli autori dell’omicidio, Luigi, nemmeno lo conosceva. Non sapeva nulla di quello che faceva al Policlinico. Ma allora chi glielo aveva indicato come bersaglio? Chi aveva rubato documenti al Policlinico e consegnati alle BR?
Ricordate Ettorina? La caposala allieva di Luigi al corso infermieri e assunta direttamente da lui come sua collaboratrice? Lei, Ettorina Zaccheo, aveva indicato Luigi come bersaglio. Aveva fornito agli esecutori materiali dell’agguato indirizzi, numeri di telefono, abitudini.
I membri del commando erano Michele Galli, Nicolò De Maria, Samuele Zellino e Maria Rosa Belloli. Ettorina Zaccheo, condannata in primo grado all’ergastolo, si vide successivamente ridotta la pena e venne accolta dalla comunità di don Gino Rigoldi.
Le foto degli orfani ai funerali erano sempre le stesse. In questo caso Francesca, 17 anni, e Matteo di 15. Occhioni spalancati, mani serrate e piccole. Guardavano sempre il fotografo senza capire. Perchè una foto? Perchè non abbiamo più il papà? Vittime. Le più indifese.
Perché ho ricopiato qui questi tweet
Ho voluto ripubblicare quella serie di tweet per tre motivi:
- questo specifico racconto mi sembra qualcosa che merita più diffusione
- in generale: una singola pagina su un normale sito web è molto più leggibile di una serie di tweet, e soprattutto molto più duratura. Di pagine web indipendenti degli anni 90 ancora indicizzate, accessibili e leggibili senza alcun problema ce ne sono tante. Ma quello che è stato scritto solo dentro Geocities, Myspace, Splinder è già irraggiungibile da un pezzo anche a chi l’ha scritto. E la stessa fine farà fra pochi anni tutto quello che state “condividendo” solo dentro Facebook, Twitter, Instagram e simili. Garantito.
- Quando si parte da zero, a scrivere un testo come quello qui sopra nel formato qui sopra ci si mette quanto a scriverlo come serie di tweet. Probabilmente molto meno, dopo un po’ di pratica con gli strumenti giusti. Questo post è anche un invito a tutti a fare così.
Perché di storie, ricordi e descrizioni come queste ce ne sono a miliardi nelle nostre teste. Sicuramente molte di quelle memorie sono profondamente diverse fra loro, anche quando si parla dello stesso avvenimento, o argomento. Non è questo il punto. L’importante è conservare e condividere queste memorie nel modo migliore.