Numeri alla mano, una recente inchiesta sulla disoccupazione dell’Espresso conclude che:

I dati smentiscono anche un altro luogo comune: che studiare non serve. Di nuovo, è vero l’opposto. Le persone con titoli di studio più elevati sono quelle meno esposte alle disoccupazione, e questo vale sia per gli uomini che per le donne… Altro che perdita di tempo: uno degli antidoti alla crisi, se mai ce ne fosse uno, sembra proprio lo studio.

E se non fosse (sempre) vero? Ovviamente ragionando solo sui grandi numeri, sulle probabilità. Un po’ per fare l’avvocato del diavolo, un po’ sul serio, vi chiedo…

…e se invece (almeno finora, vedi Krugman) la verità fosse, semplicemente, che chi ha abbastanza talento O soldi O agganci per prendere il “pezzo di carta” ha anche abbastanza talento O soldi O agganci per rimediare lavoro?

Cioè, se in molti casi la verità fosse non che “ora troverai lavoro perché hai il pezzo di carta”, ma solo che se sei in grado di prendere il secondo, allora sei probabilmente in grado anche di trovare il primo? Subito dopo il paragrafo già citato, l’Espresso scrive:

La differenza che - soprattutto al sud - è enorme: le laureate calabresi, per esempio, hanno un tasso di disoccupazione di 8 punti percentuali più basso delle diplomate, mentre le campane arrivano a 10. Per gli uomini è lo stesso, basta guardare la differenza fra laureati e diplomati siciliani: fra questi ultimi, ai tempi della crisi, il tasso di disoccupazione è doppio.

Appunto. Che poi SE ho capito bene, è lo stesso discorso, in altra forma, che fa l’economista del momento, il famoso Piketty, quando dice che (riassumendo beceramente) oggi hai molte più probabilità di diventare ricco se ci nasci che lavorando.

Domanda collaterale: ma perché rapporti come questo, o quello ancor più drammatico dell’ISTAT, escono sempre un mese dopo le elezioni, anzichè uno prima, quando sapere certe cose aiuterebbe a decidere come votare?